E’ una ricorrenza importante quella del 16 ottobre 1968, cinquantacinque anni fa, non solo per l’atletica leggera ma per un significativo risvolto sociale. Tommie Smith vince ai Giochi olimpici di Città del Messico la medaglia d’oro nei 200 metri stabilendo il record del mondo in 19’’83, con il connazionale John Carlos medaglia di bronzo. Ma non è tanto la vittoria olimpica, in una specialità dal facile pronostico per atleti americani, ma la foto simbolo che rimane impressa.
Al momento della premiazione, nel pieno della solennità dell’inno statunitense, Smith e Carlos si presentano sul podio con il pugno alzato, il destro Smith, il sinistro Carlos, avvolto in un guanto nero per dire NO al razzismo. Anche l’australiano Norman, medaglia d’argento, manifesta in favore dei due neri americani presentandosi alla premiazione con un bottone attaccato sulla tuta. Il pugno avvolto in un guanto nero è il simbolo del “Black Power”, movimento che si batte contro le discriminazioni razziali. E’ un anno particolare il 1968 con il maggio francese, gli accadimenti di Valle Giulia a Roma, l’assassinio di Martin Luther King e solo qualche giorno prima dell’inizio dei Giochi la strage contro gli studenti in piazza delle Tre Culture a Mexico city.
Spiega Smith in conferenza stampa: “Se vinciamo direte che ha vinto un americano, se perdiamo direte che ha perso un negro”. Il Comitato Olimpico Internazionale alle sei del mattino del giorno dopo li invita a lasciare il villaggio olimpico, zitti e al buio, per evitare il “contagio” della protesta…
Tommie Smith dopo l’Olimpiade, passerà al football americano e si dedicherà nel prosieguo alla carriera di allenatore. John Carlos anche confluirà nel football americano, per essere poi coinvolto in attività sociali e di organizzazione di eventi. Ma ci vorrà ancora tempo prima che il Comitato Olimpico Internazionale riabiliterà i due atleti diventati successivamente simbolo dei diritti sociali. I due diventeranno un così forte esempio per le nuove generazioni che il CIO dovrà per forza di cose ammettere l’errore commesso.
E comunque undici anni dopo i giochi di Città del Messico, sulla stessa pista alle Universiadi del 1979, si compie un’altra rivoluzione ossia il record del mondo, sempre sui 200 metri, di un atleta non americano , questa volta italiano: Pietro Mennea.